Il dramma della guerra

Giovani ucraini a Bologna: gli abbracci guariscono

Alcuni sono stati ospitati a Sant'Andrea

Questo contenuto non è disponibile per via delle tue sui cookie

BOLOGNA – Un gruppo di adolescenti provenienti da Donetsk e Kiyv hanno partecipato al viaggio “GLI ABBRACCI GUARISCONO”, promosso dalla pastorale giovanile della chiesa greco cattolica ucraina, su invito dell’Azione Cattolica di Bologna. In questo viaggio, i giovani hanno avuto molte attività insieme con giovani italiani e ucraini residenti in Italia e numerosi incontri importanti, tra cui quello con il cardinale Matteo Zuppi.

Molto commovente è stato l’incontro che i giovani ucraini hanno avuto con il Cardinale Zuppi, che continua nel frattempo la sua delicata mediazione umanitaria per conto del Santo Padre. Ne sono usciti racconti terribili di violenze, sevizie, privazioni, separazioni forzate, mutilazioni, uccisioni, di cui i giovani sono testimoni in prima persona.

“Ci sono cose che si capiscono solo con il cuore”, ha detto il Cardinale invitando i giovani a sentire il calore e l’amicizia della Chiesa bolognese.

Padre Roman Demusch, vicepresidente della Commissione patriarcale per la pastorale giovanile della Chiesa grecocattolica ucraina, ha ringraziato il cardinale per l’opportunità data a questi giovani: “portano con loro e dentro di loro le ferite visibili e invisibili della guerra. Poter ascoltare le vittime della guerra ed essere pronti ad abbracciarle, pregare per loro: anche questo è segno di chiesa sinodale”. Gli abbracci guariscono: era la scritta sulla felpa indossata dai giovani e anche dal cardinale. “Un abbraccio italiano”, ha detto padre Roman, “un abbraccio di Chiesa”.

Il Presidente dell’Azione Cattolica bolognese Daniele Magliozzi ha sottolineato che questa esperienza è un’occasione straordinaria di cooperazione e di sostegno: “Riceviamo più di quanto doniamo. Quando abbracci, non puoi distinguere del tutto chi abbraccia e chi è abbracciato. È un’esperienza preziosa per tutti noi”.

Margherita di Dnipropetrov Hаini (regione di Ternivka) ha raccontato di una sorella che studiava a Vinnytsia, vicino alla casa di cui è caduto un razzo; delle tribolazioni vissute dal nonno durante l’occupazione di Kherson e di un fratello morto: “Il dolore più grande che questa guerra mi ha portato è la perdita del mio fratello. È morto a Charkiv, aveva solo 21 anni. Quel giorno, erano in piedi al posto di blocco e improvvisamente arrivò un razzo. Lui ha coperto con il suo corpo un amico e purtroppo è morto. Ecco perché voglio che sappiate che la guerra va avanti da dieci anni e ogni giorno migliaia di ucraini vengono uccisi per la nostra indipendenza”.

Cristina della regione di Donetsk (il villaggio di Verkhnyokam al confine con la regione di Luhansk) ha parlato di come ha dovuto lasciare la sua famiglia al momento dell’occupazione, mentre i suoi non potevano andarsene a causa di una ferita del padre. “Quando, mesi dopo, li ho potuti rivedere, ero sconvolta e non potevo neanche riconoscerli. Avevano dormito all’aperto, si scaldavano con qualche fuoco e mangiavano erba perché non c’era altro. E non ho riconosciuto mio fratello, che pesava circa 40 chili per un metro e 80 di altezza. Hanno subito delle vere torture, ma sono riusciti ad arrivare vicini a me, presso il monastero dove ero ospitata. Se non fosse per l’aiuto che abbiamo ricevuto dalla Chiesa, saremmo morti di fame”, ha detto. Ha anche condiviso una storia dei suoi zii che hanno combattuto in prima linea e sono stati uccisi. Sua cugina le ha raccontato di aver trovato dopo il funerale il fratello di solo 4 anni chiuso in bagno a piangere da solo. Si nascondeva perché sua madre non lo vedesse, per renderla ancora più triste. Avrei voluto fare a cambio con lui – diceva – perché io ho già quindici anni e lui solo quattro”.

Alina, del distretto di Bakhmut nella regione di Donetsk, ha condiviso i bellissimi ricordi della sua casa in Donbass, che lei può solo sognare perché è stata distrutta nei combattimento. Un suo amico, Nicola, è sul fronte dal 2014. “Nel 2022 ha perso il piede, combattendo per la liberazione delle nostre terre. Quando il villaggio di Nevsky è stato ripulito dagli occupanti russi, lui e i suoi fratelli hanno sentito i gemiti di alcuni bambini chiusi in casa. Rompendo le serrature, hanno trovato 2 bambine di 14-15 anni e un ragazzino 8 anni. Quando arrivarono l’ambulanza e lo psichiatra, dissero che gli invasori li avevano violentati e riferirono che a chi resisteva veniva tagliata la testa davanti agli altri. ” Se un giorno potremo ritrovarci insieme nella nostra casa sarà solo merito di chi sta combattendo per noi”, ha detto ancora la ragazza, con le lacrime agli occhi.

Il Cardinale ha ringraziato tutti per la presenza, la sincerità e l’apertura e ha invitato a condividere abbracci e preoccupazioni. “Ci sono cose che si capiscono con il cuore. Sentite il nostro abbraccio! Gli abbracci aiutano a superare l’incertezza e il disagio. Il male ci fa diventare cattivi. Se vengo colpito, ho subito la tentazione di vendicarmi. Ma vivendo con la legge dell’occhio per occhio, prima o poi tutta l’umanità resterebbe cieca.
Crediamo con forza che il male sia vinto dall’amore”. Il Cardinale ha riferito quanto detto da una mamma incontrata a Gerusalemme, che aveva il figlio rapito nella striscia di Gaza: “Non voglio che un dolore provochi un altro dolore”.

Il Cardinale ha confessato di essere rimasto molto colpito dalle storie che erano state raccontate: “Non possiamo abituarci alla guerra. Dobbiamo credere che la pace è necessaria. Credete nella pace e siate persone di pace! Preghiamo molto perché la pace arrivi presto! È facile iniziare una guerra, ma è così difficile finirla, perché è complicato fare un passo indietro. E dobbiamo fare di più per aiutarvi, per aiutare chi ha perso la casa e per i feriti che portano la guerra nel cuore e nel corpo”, ha detto ancora il cardinale.

Il racconto in lingua ucraina (link).

Domenica 27 ottobre sono ripartiti per tornare a casa.

Questo contenuto non è disponibile per via delle tue sui cookie