BOLOGNA – Elena Colannino, Chiara Gnani, fanno un bilancio del progetto “Un tempo per voi” vissuto nelle nostre parrocchie, Beata Vergine Immacolata e Sant’Andrea. Il video e la trascrizione (link).
ELENA: È stata un’esperienza meravigliosa piena di emozioni di empatia e di rapporto con gli altri proprio diretto.
Cosa avete fatto?
Allora… Mensana! E poi abbiamo collaborato con APE, abbiamo insegnato italiano la mattina a delle donne, i sabato mattina abbiamo aiutato la distribuzione e il centro l’ascolto in Caritas e abbiamo realizzato due video per Mensana e per APE.
La cosa che ti ha sorpreso di più?
La grandissima accoglienza che abbiamo ricevuto e apertura da parte di tutti. Ci siamo sentite magari spaesate il primo giorno perché ovviamente è tutto organizzato e gestito da persone divers, invece ci siamo sentite accolte in tutti i luoghi in cui abbiamo operato e sentite anche come figlie. Magari una volta mancavamo per impegni personali e sembrava che fosse successo qualcosa di grave.È stato fantastico!
La scuola di italiano?
Allora diciamo che le utenti erano delle donne straniere provenienti da contesti culturali e migratori diversi con la necessità perlopiù di imparare l’italiano parlato, quindi nel linguaggio quotidiano di tutti i giorni, come andare in farmacia, cercare lavoro, andare dal dottore e soprattutto poter comunicare con i propri figli. Abbiamo sfruttato l’occasione che venissero ad accompagnare i figli il sabato mattina al dopo scuola dei volontari e le abbiamo prese per due mesi durante le nostre ore e abbiamo svolto con loro delle attività di di italiano, dove al centro c’erano loro, non non il nostro sapere, ma quanto potessimo aiutarle ad uscire un po’ da dai loro limiti e a migliorare il loro italiano (che sembrava basso ma in realtà erano più brave di quello che loro ritenevano).
Avete dato o avete ricevuto?
Ma… io penso in egual misura perché è stato un tempo per noi perché tutti comunque siamo stati presi e scelti in una fase di vita dove dobbiamo capire ognuno delle cose diverse ma qualcosa di noi stessi. Quindi secondo me è stato un tempo per noi ma dove anche tutti i “loro” hanno insegnato qualcosa a noi quindi è stato un tempo per Tutti.
CHIARA: Allora per me è stata consapevolezza. Nel senso che arrivando a settembre qua a Bologna, ho ricevuto tanti stimoli dalla città in generale e iniziare questo percorso al primo anno di università è stata una sfida per me stessa ma che allo stesso tempo mi ha fatto un po’ osservare le cose che ci sono al di fuori dello studio, ma che comunque fanno parte e sono aspetti per me fondamentali che vanno vissuti e che possono regalare tanto. Soprattutto ho capito che è necessario un bilancio ed un equilibrio tra le cose… nel senso che prima ero molto concentrata sullo studio, mentre adesso ho capito che è possibile dare e ricevere facendo bene tutto.
Il servizio che ti è piaciuto di più?
Credo che direi APE e Mensana perché di entrambe avevo un’idea completamente diversa da quelle che poi si sono rivelate. Perché Mensana è stata proprio convivialità, familiarità. Per me il momento del pasto è veramente la condivisione al livello più alto quasi, quindi condividere così tanto con persone che conoscevo da pochissimo ed erano per me estranee, che però in quel momento di condivisione sono diventati ancora più amici, ancora più vicini e quindi tutte le lontananze è come se si fossero ridotte. È stata una sensazione veramente bella.
Con APE ho trovato dei ragazzi che vivono un periodo della vita che io ho già vissuto, ma in maniera diversa da come l’ho vissuto io. Quindi è stato bello fare il confronto sulle cose che sono simili, le cose che sono diverse e ho visto, ho potuto percepire il lavoro e la volontà che tutti coloro che vivono e si occupano di APE impiegano in questo.
Com’è stato l’impatto con i centri di ascolto?
È stato tosto all’inizio perché ho sempre sentito parlare di persone che avevano esperienze ed avevano contatti con la povertà e con situazioni difficili, però poi trovarsi davanti a una persona che effettivamente la vive quella cosa e passare anche un’ora parlando ed ascoltando e non è più di persone che parlano di terze o quarte, si tratta della persona che ti è davanti agli occhi e quindi per me è stato più difficile però al tempo stesso mi ha regalato veramente tanto.
Com’è stato l’incontro con i volontari e gli operatori?
Allora, il mondo dei volontari per me è stato da sempre un po’ misterioso perché, non lo so, ho sempre pensato ai volontari come persone che regalassero qualcosa, che fanno qualcosa volontariamente. Però ho capito che si insturano proprio bei rapporti sia con le persone che aiutiamo, sia le persone che aiutano con noi e comunque io ho preso questa consapevolezza… che il volontario in realtà riceve sempre qualcosa da chi aiuta. Cioè sì, fa il volontario, ma lo fa proprio. Nonè una cosa che dice “lo faccio perché mi sento in dovere di farlo”, cioè lo faccio perché quella cosa inizia a far parte di me e non riesco a farne a meno, ma perché ho instaurato rapporti e un ambiente che mi fa stare bene in primis a me, e che in secondo luogo anche in primo sullo stesso piano riesce a far star bene e a far continuare a vivere una parrocchia come questa.
Il futuro?
Allora appunto, da questa esperienza ho capito che è importante, come dicevo prima, il bilancio tra le cose quindi cercherò il più possibile di dedicarmi a quello che è davvero importante per me al di fuori degli studi, che continueranno comunque eh, però ho capito che ci sono aspetti al di fuori della mia vita, che fanno parte della vita delle altre persone che per me sono fondamentali e vanno curati. Quindi cercherò il più possibile con attività di volontariato o all’interno della mia stessa vita, con le persone di tutti i giorni, di mettere in pratica questi questi tipi di comportamenti che in realtà fanno la differenza anche su come mi sono sentita.
I vostri formatori?
ELENA: Sì, diciamo che siamo stati accompagnati da tutor che ci hanno formato ma soprattutto ci hanno accolto, cioè hanno accolto non solo noi come gruppo di persone (perché siamo sette), però hanno proprio accolto quello che noi siamo come persone. Ci siamo sentiti capiti ci siamo sentiti compresi, ascoltati. Non trattati come un progetto, ma trattati proprio come delle persone a cui voler bene, di cui capire le necessità e di cui comprendere anche le attitudini personali più specifiche o meno.
Il futuro?
Allora io mi sono spesa quasi tutta la vita per gli altri, è diciamo nella mia indole. Ero un po’ spenta però prima di questo progetto, perché avevo un po’ chiuso con il dare e basta. Ero proprio appesantita e stanca. Mi continuerà a portare verso gli altri perché è quello che proprio ho come missione, però con una consapevolezza in più di quella che sono, delle mie capacità. E, io sto cercando lavoro perché sono in una fase un po’ diversa dagli altri, sono la più vecchietta del progetto, e lo cerco nel sociale, se riesco. Qualora non dovessi riuscire, comunque continuerò a farlo nella mia vita personale e privata e nei piccoli pezzi di tempo libero. Intanto per il momento cercando di essere adottata da questa parrocchia!