S.ANDREA – Si è svolta domenica 26 ottobre 2025 l’Assemblea Parrocchiale di S. Andrea, una giornata di ascolto, preghiera e progettazione condivisa che ha coinvolto i fedeli in un percorso articolato in più momenti. Al centro, la domanda: come rendere la parrocchia una “casa” accogliente e una comunità viva? A guidare la riflessione, l’omelia di Valerio Mattioli, la toccante testimonianza della coppia Valerio e Manuela e il lavoro di quattro gruppi, i cui esiti sono stati sintetizzati da don Andrea.
Abbiamo avuto come ospiti e guide nella riflessione, Valerio Mattioli, diacono a Minerbio, e sua moglie Manuela Rispolo, che animano la casa famiglia “Piccoli Passi”.
1 – L’omelia: la giustizia che unisce, non separa
Valerio Mattioli, nell’omelia della messa ha meditato sulla parabola del fariseo e del pubblicano, rivolta, come ha sottolineato, “a coloro che si ritengono giusti”. Il fariseo, pur osservante, incarna la tentazione di una religiosità che “divide” e si auto-celebra, trasformando la preghiera in un “essere creditori di vita” davanti a Dio. In questo modo la sua preghiera perde il senso dell’incontro e diventa una contabilità morale.
Ha raccontato un episodio personale: sua madre, malata da tempo, di fronte a nuove prove, sentiva di non meritare più sofferenze, come se la vita le dovesse qualcosa. È un sentimento umano, ma rivela la radice del problema: quando ci percepiamo “giusti”, rischiamo di perdere il legame con Dio e con gli altri.
Al contrario, il pubblicano, riconoscendo la propria miseria, si affida totalmente alla misericordia divina. Si umilia, si consegna, e nel suo atto di fiducia si apre all’incontro. Gesù stesso, dice Mattioli, è “il giusto pubblicano divenuto ingiusto”, perché si è consegnato nelle mani del Padre, si è umiliato fino alla croce.
La conclusione dell’omelia è un invito concreto: cercare Dio proprio nella nostra miseria, nelle nostre ferite, nella consapevolezza della nostra debolezza. “Il Signore valorizza la nostra povertà”, dice Mattioli. Da questo riconoscimento nasce anche la comunità: una comunità che non si divide in giusti e peccatori, ma che insieme guarda al Signore come unica fonte di vita e di giustizia.
2 – Il pranzo
Dopo la messa c’è stato il pranzo, ottimamente preparato dai nostri cuochi!
3 – La testimonianza: l’accoglienza come “affiancamento”, la crisi come opportunità
Nel primo pomeriggio c’è stata la relazione di Valerio e Manuela, sposati da 40 anni con una lunga esperienza di affido e una casa famiglia avviata nel 2020. La loro testimonianza, cruda e profonda, ha smontato l’idea “idilliaca” dell’aiuto, mostrando come il vero ruolo non sia quello di “salvatori” ma di “affiancatori” che camminano a fianco dei ragazzi, senza pretendere di guarire le loro ferite. Un percorso segnato dalla crisi, vista non come fallimento ma come elemento costitutivo della vita cristiana, un passaggio di “morte e risurrezione” alla luce del Battesimo.
Valerio e Manuela hanno proposto alla comunità parrocchiale tre elementi pratici per un cammino di fede comunitario:
- Prassi del Perdono: intesa come l’accettazione dei cammini differenti degli altri
- L’attivazione di uno sguardo di misericordia (compassione). Significa astenersi dal giudizio e dalla punizione, agendo per alleviare la sofferenza altrui.
- Prassi della Riconciliazione: Non bisogna avere paura del conflitto o del “litigio”. Il confronto onesto, se condotto con serenità e con l’obiettivo di riconciliarsi, è un’opportunità per conoscersi più a fondo e far emergere le verità profonde di ognuno.
Hanno indicato alcuni modelli che possono diventare ostacoli per una comunità viva:
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- Comunità come “erogatore di servizi”: questa visione crea una separazione “noi” (chi dà) vs “voi” (chi riceve).
- Comunità come “fortezza del sacro”: separare il sacro (la comunità) dal profano (il mondo) è nocivo. Per i battezzati, ogni luogo è sacro.
- Comunità “presbiterocentrica”: mettere il prete, e non Gesù, al centro della vita comunitaria crea una fede “delegata” e una gerarchia nella santità. Il clero deve avere una funzione di servizio che facilita l’incontro personale e immediato di ciascuno con Cristo.
La coppia ha commentato positivamente le quattro parole-chiave emerse dai questionari della comunità – accoglienza, cura (degli spazi e delle persone), presenza (con gioia) e condivisione (incontri e preghiere) – sottolineano in particolare l’importanza della gioia. La gioia cristiana è profonda, intima, nasce dalla gratitudine per un Dio che si mette dalla parte degli ultimi e partecipa alla loro vita. È la gioia di sapere che non siamo mai soli, nemmeno nelle prove.
Valerio e Manuela hanno concluso ribadendo che l’unica relazione che rende liberi e capaci di volersi bene in comunità è quella in cui Cristo è il mediatore di ogni rapporto interpersonale.
Hanno lasciato due domande provocatorie, che usano in famiglia per riflettere sul “vuoto” interiore e sui desideri:
- Per gli grandi: “Cosa mi manca?”, “Quello che non ho è quello che mi manca?”, “Posso farne a meno?”.
- Per i piccoli: “Ho avuto un desiderio?”, “Quanto tempo passa dal desiderio a quando lo ottengo?”, “Una volta ottenuto, mi interessa ancora?”.
4 – I gruppi di lavoro
I partecipanti si sono poi suddivisi in gruppi per tradurre in proposte operative le quattro parole-chiave emerse dal precedente questionario: accoglienza, cura, presenza (con gioia) e condivisione.
Gruppo 1 (Marco)
Ha proposto un’accoglienza attiva all’ingresso della messa da parte di laici e uno spazio mensile, durante la celebrazione, per far raccontare ai vari gruppi le loro attività, favorendo la conoscenza e la condivisione.
Presenti: Claudia, Valeria, Martina, Paola, Daniele, Giovanna, Daniela, Marco.
All’inizio si è discusso sulla parola presenza. Ci siamo detti che spesso siamo presenti, ma forse manca la gioia; la partecipazione alle iniziative sconta all’inizio una fatica ed una stanchezza che offuscano la gioia; se si va oltre a questa fatica allora si assapora la gioia, ma questo non è scontato. Anche la cura e l’accoglienza non sono scontate.
Abbiamo discusso poi della partecipazione dei bambini più piccoli alla messa, evidenziando che la loro presenza (anche se rumorosa) dovrebbe essere vissuta dagli adulti come accoglienza e condivisione: i più piccoli imparano che gli adulti hanno qualcosa da condividere con loro.
Ci siamo poi soffermati sulla condivisione: viene segnalato come spesso manca la condivisione di quello che i vari gruppi fanno, manca la comunicazione al di fuori del gruppo o di una cerchia ristretta di quello che ogni gruppo (non solo educativi, ma anche caritas, pesca, mercatini, ecc.) fa.
Viene anche detto che, seppur la comunicazione tramite strumenti digitali può aiutare a raggiungere meglio alcune fasce di età, bisognerebbe ritornare alla comunicazione / convocazione personale che sono sicuramente più efficaci.
Bisognerebbe partecipare / essere più presenti in parrocchia durante la settimana, questo ovviamente implica che si dovrebbero pensare a iniziative per aiutare questa partecipazione.
Idee concrete:
- Impegnarsi a diffondere le varie iniziative con inviti personali;
- Uno spazio durante la messa (dopo l’omelia, prima degli avvisi) in cui ogni tanto (una domenica al mese, ad esempio) i vari gruppi (come detto prima non solo educativi) raccontano quello che stanno facendo, in maniera da condividere il proprio cammino o le proprie esperienze con tutta la comunità.
- Accoglienza delle persone a Messa: alcuni laici che si impegnino ad arrivare prima delle 11 (10,30) per accogliere chi arriva per partecipare all’Eucarestia. Con la consegna di qualcosa?
Gruppo 2 (Antonio)
Ha sottolineato l’importanza di un’accoglienza non giudicante e della libertà di dire “non siamo stati capaci”. Forte la richiesta di momenti di preghiera comune con meditazione della Parola, come prolungamento dell’Eucaristia.
Presenti: Antonio, Giovanna, Daniela Montesardi, Vittorio, Betta Ramenghi, Roberto, Anna, Silvana, Daniela Angella, Grazia
il gruppo ha portato l’attenzione
- sulla riflessione fatta da Manuela e Valerio in merito all’opportunità che è il litigio;
- sulla necessità di atteggiamenti di gioia anche se si è affaticati;
- sull’accoglienza vera di come si è, dei propri limiti e anche del poter dire con consapevolezza serena non siamo stati capaci;
- sulla presenza che è accoglienza, cura;
- sentiamo la mancanza di un rapporto con la Parola, non mancano gli appuntamenti comunitari della liturgia delle ore, del rosario, della messa, ma sarebbe bello avere dei tempi di preghiera comune con meditazione, aggiungendo allo stare insieme anche lo stare insieme che troviamo nella Parola;
- sul prolungamento dell’Eucaristia, già molto sentita, va prolungata nelle nostre giornate e nelle nostre case.
La proposta che si chiede di concretizzare è creare momenti (in presenza, ma forse con collegamenti per chi può ascoltare ma non essere presente) per il rapporto con la Parola, forse all’inizio aiutati da una riflessione/guida, arrivando quando saremo poi pronti a essere noi a condividere le riflessioni e i pensieri.
Gruppo 3 (Rachele):
Ha evidenziato che l’identità della comunità è la fede. L’invito deve essere a “camminare insieme”, non solo a “fare”. Propone una bacheca fisica e digitale per far conoscere attività e bisogni, e presentazioni periodiche delle realtà parrocchiali.
Presenti: Rachele, Leonardo, Emanuela, Marco e moglie peruviana, Paola Melega, Stefania Tasini, Sergino, Luisa, Lorena, Paola e Enzo Ravaglia, Armanda, Vanes e Alba, Giuseppe e Francesca
Accoglienza, Cura, Presenza e Condivisione sono tutte parole fondamentali ma se dovessi fare qualcosa di più non lo farei “con gioia” perché sono sempre le stesse persone che fanno le cose. Forse dovremmo aggiungere un’altra parola “ALLEGGERIRE”. Dovremmo essere in tanti per sentirci meno affogati. Il fare le cose con gioia si declina in due modi: fare meno cose o avere più persone su cui contare per fare meno fatica.
La parrocchia vista come erogatrice di servizi invece che come una comunità genera un “Noi” e un “Voi”. Soprattutto in ambito di iniziazione cristiana questo si percepisce molto quando i genitori portano i bambini e scappano via. Bisognerebbe trovare un modo per coinvolgerli con gioia perché se chiediamo di fare qualcosa “in cambio o in modo imposto” vengono una volta e poi mai più. Le persone devono venire volentieri e con gioia. Da questo punto di vista dobbiamo non aver paura di coinvolgere e stimolare le persone che magari hanno paura di lanciarsi. Proponendo piccoli momenti insieme anche in attività semplici e pratiche, si costruiscono relazioni e le persone possono scoprire di avere un dono da condividere.
Nell’accoglienza di nuove persone ci vogliono particolari attenzioni riguardo a non farle sentire nuove ed estranee e il gruppo deve essere in grado di adeguarsi e essere pronto a modificare certi equilibri consolidati. Il vissuto di chi accoglie e di chi entra è diverso e quindi bisogna sapersi adattare. Se non si riesce ad includere con questo processo allora non si va più avanti. Non è un processo senza fatiche ma il conflitto come ci hanno detto i relatori è alla base del cambiamento.
Le 4 parole possono essere riassunte in un unico stile perché sono 4 condizioni che noi dovremmo trovare sempre in parrocchia. Lo stile, in casa ci viene insegnato da qualcuno (mamma e papà) che ci riprende e ci guida. Se nessuno nella nostra casa parrocchiale ce lo insegna o ci guida, rischia di andare perduto. Quello che viviamo un po’ in questa stagione è che, non avendo una persona di riferimento, spesso presente, ognuno pensa al suo cortile e siamo diventati una famiglia settoriale. Tempo addietro le persone si affacciavano durante la settimana in segreteria per chiedere informazioni, fare due chiacchiere ma ora non viene più nessuno. Anche questo è indice di disgregazione e di non trovare nella parrocchia un punto di riferimento e un luogo da abitare. Ora si fa fatica anche ad intercettare le necessità degli anziani per distribuire la comunione nelle case perché le informazioni non arrivano. Siamo consapevoli che sia una cosa oggettiva non voluta da nessuno ma ora, il ruolo del parroco è diverso.
Nelle parole manca “FEDE”. Quella non dovrebbe mai mancare in una comunità.
Bisogna trovare il modo per rendere noti i bisogni ed avere una comunicazione che possa raggiungere meglio le persone. Resta il fatto che essere comunità non si declina solo con il fare qualcosa. Mi devo sentire parte della comunità anche senza fare qualcosa e comunque è bello fare l’invito a qualcuno (personale e con gioia), per iniziare a coinvolgere.
Ci sono i valori che condividiamo e che possiamo riconoscere in quelle quattro parole ma ci sono due elementi che trasformano la parrocchia da erogatore di servizi a comunità. Insieme alle cose da fare ci vogliono la fede e l’amicizia. In passato dopo la messa ci si fermava tutti a parlare fuori dalla chiesa e questo era un volano. Dobbiamo trovare un modo per rifare rete che prima con il parroco residente era più facile perché le informazioni erano continue.
PROPOSTE CONCRETE
Presentare a turno alla fine della messa una attività che viene svolta in parrocchia per far conoscere anche a chi viene solo a messa (e ci sono tante famiglie nuove) cosa si fa in parrocchia. Questo potrebbe aiutare qualcuno a sentirsi chiamato a frequentare la comunità non solo alla domenica. La chiamata personale a fare qualcosa insieme è anche un modo per far sentire la persona cercata e in grado di fare quello che gli viene proposto (per le persone timorose nel proporsi).
A monte però, si potrebbe anche pensare di predisporre una bacheca nell’atrio della chiesa per presentare tutte le attività e mettere i riferimenti delle presone responsabili nel caso qualcuno si senta di poter dare il proprio contributo in qualche ambito. Sempre la bacheca, potrebbe essere adibita ad evidenziare contingenze o necessità nei vari ambiti (scarico camion caritas con indicazione del giorno e dell’ora oppure necessità di coprire la segreteria per qualche giorno in caso di assenza di qualcuno).
Come in una casa, se c’è bisogno di fare qualche servizio o attività, si condivide e si cerca di trovare una soluzione. Questo meccanismo funziona però solo se c’è dell’altro oltre al fare una cosa; c’è un percorso condiviso, la preghiera unitaria e già il fatto di sentirsi chiamati da qualcuno, è un modo per fare accoglienza. I gruppi a turno, una volta al mese potrebbero organizzare anche una preghiera estesa a tutti in modo tale da non rimanere sempre settoriali.
Gruppo Giovani (Filippo):
Rendere la casa canonica uno spazio giovani, organizzare convivenze, tornei, aule studio e un calendario condiviso digitale. L’obiettivo è “abitare” gli spazi per costruire comunità.
Il filo conduttore del nostro incontro è stato: se noi avessimo le chiavi della parrocchia domani, come le utilizzeremmo? E effettivamente ci siamo risposti seguendo i punti principali su cui potremmo andare a costruire un progetto futuro, realizzabile sia dal punto di vista pratico che dal punto di vista dell’unione, di una comunità parrocchiale destinata a crescere.
Uno dei punti era sicuramente il concentrarsi sulle diverse necessità della parrocchia dal punto di vista pratico e su come questi servizi impattino anche proprio sulla comunità, sulle relazioni che si vanno a intersecare, a creare in una rete di conoscenze come quella della parrocchia.
- Apertura verso l’esterno e collaborazioni
- Promuovere occasioni di incontro e scambio con altre realtà al di fuori della comunità e all’interno della comunità parrocchiale.
- Avviare attività di volontariato, in collaborazione con enti e associazioni come:
- Centro Astalli
- ANFAS
- Antoniano
- Colletta Alimentare
- Fondazione Lercaro
- Servizi e necessità parrocchiali
- Elaborare una lista dei servizi attivi o da attivare, evidenziando le necessità e urgenze relative. (Filip è disponibile a elaborare un documento sul modello di quello di Corpus Domini).
Alcuni dei Servizi citati:- Visite agli anziani e nelle case di cura
- Recupero alimenti
- Servizio informatico
- Dormitorio
- Chierichetti
- Dare la pace durante la messa
- Comunicazione
- Cura del verde
- Distribuzione bollettini
- Spazi e vita comunitaria
- Abitare la casa canonica, dedicandola ad essere uno spazio per i giovani curato ed accogliente.
- Organizzare una convivenza per i giovani, come esperienza comunitaria e formativa.
- Attività aggregative e culturali
- Allestire un’aula studio per studenti.
- Organizzare tornei di biliardino e ping pong.
- Proporre serate cinema e incontri tematici aperti alla comunità.
- Comunicazione e strumenti digitali
- Creare un calendario condiviso sulla disponibilità degli spazi e degli appuntamenti parrocchiali accessibile ai gruppi giovani, accessibile tramite QR code.
- Gestire il profilo Facebook (e instagram?) parrocchiale per la comunicazione e la promozione delle attività.
Il video degli interventi di sintesi dei gruppi e di don Andres
A metà pomeriggio tutti i gruppi si sono riuniti in chiesa per condividere in sintesi quanto emerso. Don Andres ha fatto le conclusioni.
5 – Le conclusione di Don Andres
Don Andrés ha iniziato il suo intervento esprimendo gratitudine per la ricchezza di idee e riflessioni emerse durante la giornata, definendola una “bellissima occasione di ascolto”. Collegandosi al Vangelo del giorno, quello del fariseo e del pubblicano, ha richiamato l’importanza dell’umiltà: l’umiltà di chi, come il pubblicano, riconosce la propria fragilità davanti a Dio, ma anche l’umiltà di una comunità che custodisce grandi tesori e, al tempo stesso, sa di non poter rispondere da sola a tutte le sfide. È in questa consapevolezza dei propri limiti che nasce l’affidamento al Signore.
Comunità come “artigiani di pace”
Il primo tema che don Andrés ha voluto condividere è quello della pace. Zuppi nella lettera pastorale al n.23 e in un recente intervento ai preti ha citato Papa Leone, ricordando il suo saluto d’inizio pontificato – “Pace a voi” – aveva esortato le comunità cristiane a diventare artigiani di pace, in un tempo segnato da guerre, violenze e linguaggi aggressivi che spesso penetrano anche nelle relazioni quotidiane.
Don Andrés ha proposto di far diventare la pace una parola-chiave della vita parrocchiale, accanto a quelle già emerse come accoglienza, relazione e gioia. La parrocchia, ha detto, dovrebbe essere un luogo dove si sperimenta la pace, nelle celebrazioni, nei rapporti tra le persone e anche nelle case dei fedeli.
La parrocchia come casa e come apertura al mondo
Riflettendo sull’etimologia della parola “parrocchia” – che significa sia “vicinanza” sia “dimora dello straniero” – don Andrés ha sottolineato il duplice carattere di questa realtà: da un lato casa, luogo familiare e accogliente; dall’altro spazio aperto, abitato da persone diverse, non chiuso in sé stesso. La comunità di Sant’Andrea, ha detto, deve sentirsi a casa ma non in una bolla, capace di abitare le contraddizioni e le differenze del mondo che la circonda. Solo così può essere una Chiesa viva, radicata nel territorio ma aperta all’incontro.
La Parola di Dio come fondamento della vita comunitaria
L’altro grande punto dell’intervento riguarda la centralità della Scrittura. Don Andrés ha ricordato come nella recente lettera pastorale dell’arcivescovo Matteo Zuppi venga rivolto un forte invito a riscoprire la lettura della Parola di Dio, sia personalmente sia comunitariamente.
Ha proposto di riflettere su quanto spazio viene dato nella vita parrocchiale all’ascolto della Bibbia, al di là delle omelie o dei canali digitali. Ha raccontato di un recente incontro con i genitori del catechismo, centrato proprio sul Vangelo del fariseo e del pubblicano, come esempio di come la Parola possa diventare occasione di confronto e di crescita.
Riprendendo anche le parole di don Cugliersi, durante un incontro zonale, ha ricordato che la preghiera autentica nasce dall’ascolto di ciò che Dio dice all’uomo: “Se la nostra preghiera è solo quella che facciamo noi, resta incompleta. L’unico modo per ascoltare Dio è leggere la Bibbia.” Da questo ascolto nasce un dialogo vero con il Signore, che consola, illumina e trasforma.
Giovani e corresponsabilità nella comunità
Infine, don Andrés ha ribadito l’importanza di dare spazio ai giovani, alle loro iniziative e ai loro desideri, valorizzando la loro energia e creatività. Ha accennato agli incontri in programma con i consigli pastorali per valutare le missioni ai giovani e discernere se questo stile risponde davvero alla realtà della parrocchia o se possono emergere altre strade: esperienze di comunità, progetti di accoglienza (come l’idea dell’appartamento) e nuove modalità di partecipazione.
6 – I vespri
L’Assemblea di S. Andrea si è conclusa con la preghiera dei vespri per ringraziare il Signore della bella domenica. Un assemblea… non come punto di arrivo, ma come l’apertura di un cantiere. Con uno sguardo umile, come quello del pubblicano, e la forza di chi, come Valerio e Manuela, ha imparato a vedere nella crisi un’opportunità, la comunità si rimette in cammino, pronta a tradurre in scelte concrete l’obiettivo di essere una casa accogliente, gioiosa e fedele al Vangelo.





