Il primo appuntamento di formazione, per l’ambito liturgia della ZP è stato tenuto da don Stefano Culiersi, direttore dell’ufficio liturgico diocesano sul tema “Il ruolo della Parola di Dio nella preghiera”. La sintesi e il video integrale.
Don Alessandro Marchesini ha introdotto la serata presentando Don Stefano Culiersi. Ha ricordato ai presenti il suo ruolo di direttore dell’ufficio liturgico diocesano e ha annunciato il suo prossimo trasferimento come parroco nel centro cittadino.
Ha spiegato che l’incontro si è svolto nell’ambito della Zona Pastorale, con l’obiettivo di ridare vita all’ambito liturgico, che dopo la visita pastorale era rimasto un po’ in secondo piano. L’intento è stato quello di ripartire con un percorso di formazione, ritenuta la base fondamentale per le scelte pastorali. L’idea era che crescere nella “competenza” (intesa come unione di sapere e fare) avrebbe permesso di vivere e far vivere meglio la liturgia a tutta la comunità.
Ha quindi inquadrato il tema della serata, collegandolo alla Nota Pastorale dell’Arcivescovo 2025, dedicata alla Parola di Dio. Don Alessandro ha spiegato che la Diocesi aveva avviato un progetto triennale (ispirato alle “tre P” di Papa Francesco: Parola, Pane, Poveri) in vista del Congresso Eucaristico Diocesano dell’anno successivo, che sarebbe coinciso con il centenario del primo Congresso del 1927. Il triennio si articolava così:
- Quest’anno (2025-26): Parola
- L’anno successivo (2026-27, anno del Congresso): Pane
- L’anno ancora successivo (2027-28): Poveri
L’incontro con Don Stefano ha rappresentato quindi il primo appuntamento di quel cammino formativo diocesano, incentrato sul tema della Parola di Dio.
Il video integrale
Don Stefano ci ha guidato in un appassionante viaggio per riscoprire la Scrittura non come un semplice testo da studiare, ma come un luogo vivo di incontro e dialogo con Dio. Attraverso aneddoti personali, esempi biblici e riflessioni profonde, l’incontro ha sfidato ciascuno di noi a superare la routine e l’approccio puramente intellettuale per “gustare” la Parola come fondamento di un’autentica esperienza religiosa. Ecco i passaggi salienti del suo intervento.
1. Un monito e uno stimolo: l’avidità della fede semplice Don Stefano ha iniziato con una riflessione personale, paragonando la sua tiepidezza nello studio delle Scritture alla fede “avida” della sua bisnonna Carmela, donna con solo la terza elementare ma con un desiderio insaziabile di conoscere Dio. Questo esempio, insieme a quello di Santa Teresa di Gesù Bambino, serve a rimproverarci: abbiamo a disposizione strumenti (culturali, tecnologici, biblici) che i nostri antenati non avevano, eppure rischiamo di trascurare il tesoro della Parola, considerandolo un “accessorio” nonostante il Concilio Vaticano II l’abbia posta al centro della vita cristiana.
2. L’esempio supremo: Gesù e la Trasfigurazione Il cuore della riflessione si è concentrato sul brano della Trasfigurazione (Luca 9, 28-36). Don Stefano ha sottolineato come Gesù, il Figlio di Dio, senta il bisogno di ritirarsi in preghiera in un luogo isolato. Mentre prega, dialoga con Mosè (la Legge) e Elia (i Profeti). Questo è un modello fondamentale: se il Verbo fatto carne dialoga con il Padre attraverso le Scritture, quanto più dovremo farlo noi? La preghiera di Gesù è sostenuta e amplificata dal dialogo con la Parola scritta.
3. La Bibbia non è un libro, ma l’incontro con dei testimoni Un punto cruciale è stato sfatare l’idea della Bibbia come un “libro piovuto dal cielo”. Al contrario, essa è l’esperienza religiosa di persone reali (Mosè, Elia, i Profeti, gli Evangelisti) che hanno incontrato Dio e ce l’hanno raccontata. Quando leggiamo un Vangelo, non leggiamo un testo anonimo, ma ascoltiamo la testimonianza di Matteo, Marco, Luca o Giovanni. Attraverso la loro esperienza, facciamo esperienza noi stessi del Signore vivo. La Bibbia è come un amico che torna da un pellegrinaggio e ci racconta ciò che ha vissuto: il suo racconto diventa parte del nostro vissuto.
4. Dio non è muto: parla per dirci “Tu sei mio figlio” Contro la tentazione di pensare a un Dio silenzioso (come nel lamento di Giobbe), la Scrittura ci rivela un Dio che desidera comunicare. Il messaggio centrale di tutta la Bibbia, dall’Antico al Nuovo Testamento, è uno solo: “Tu sei mio figlio”. In Gesù, questa verità è detta in modo definitivo. L’apostolo Giovanni, nella sua prima lettera, si fa proprio “testimone oculare” per metterci in comunione con quella esperienza originaria.
5. Il rischio: una preghiera che amplifica solo noi stessi Senze il confronto con la Parola, la preghiera rischia di diventare un monologo dove “amplifichiamo solo noi stessi”, attribuendo a Dio i nostri pensieri e giustificando noi stessi. La Scrittura, invece, è la “lettera d’amore” di Dio che ci permette di conoscere la sua vera personalità, la sua volontà e la sua logica (che spesso capovolge la nostra, stando dalla parte dei poveri e degli oppressi). È l’antidoto all’idolatria.
6. La dimensione comunitaria ed ecclesiale Don Stefano ha insistito sul fatto che l’interpretazione della Scrittura non può essere solo privata. Ha un soggetto fondamentale: la Chiesa, che custodisce e interpreta queste esperienze alla luce della Tradizione. È pericoloso estrapolare versetti (come alcuni dell’Antico Testamento che incitano alla violenza) senza la guida della Chiesa, che legge l’Antico Testamento alla luce di Cristo. È Lui, infatti, che porta a compimento la Legge, come si vede nel Discorso della Montagna (“Avete inteso… ma io vi dico”).
7. Proposte concrete: ripartire dal Vangelo nelle case Ricollegandosi alla nota pastorale dell’Arcivescovo, Don Stefano ha incoraggiato a riprendere la pratica dei gruppi del Vangelo nelle case, come esperienza vitale di ascolto comunitario. Ha raccontato l’esempio del parroco di Norcia che, dopo il terremoto, ha fatto ripartire la comunità proprio attorno alla Parola. L’obiettivo non è una lezione di esegesi, ma un vero ascolto di ciò che il Signore vuole dire oggi a ciascuno, spesso attraverso le intuizioni condivise dagli altri membri del gruppo.
Conclusione La serata si è chiusa con un invito accorato: non lasciare che la Parola di Dio rimanga un libro chiuso. Essa è lo strumento privilegiato che Dio usa per intrattenersi con noi come amici, per farci conoscere il suo amore di Padre e per trasformare la nostra preghiera in un dialogo autentico con Lui, che è vivo e ci parla ancora oggi.





