BOLOGNA – Giovedì 28 novembre una trentina di persone delle nostre parrocchie impegnate nel settore della carità si è ritrovata a S.Andrea per la messa e per un momento di riflessione guidato da don Andres e don Giuseppe. L’incontro si è concluso con un momento conviviale. Condividiamo il video integrale e un’ampia sintesi dell’incontro.
Introduzione al momento di riflessione
Questo incontro nasce dal desiderio di offrire un tempo di riflessione spirituale, dedicato in particolare a coloro che operano nel settore della carità nelle nostre parrocchie. Spesso siamo immersi in molteplici attività e servizi importanti, ma è essenziale fermarsi per rifocalizzare il nostro operato alla luce della Parola di Dio.
Per guidarci in questa riflessione, è stato scelto un passaggio significativo della Seconda Lettera ai Corinzi, capitoli 8 e 9. Sebbene il testo completo sia molto lungo, verranno approfonditi alcuni punti chiave, con cinque sottolineature principali. Inoltre, verranno integrati spunti tratti dai documenti di Papa Francesco, come il messaggio per l’ottava Giornata Mondiale dei Poveri, la sua omelia per quella domenica, e la bolla d’indizione del prossimo Giubileo.
[È stato distribuito un foglio con il testo della lettera ai Corinti meditato da don Andres. Ecco il file pdf: Incontro spirituale per gli operatori della carità ZP Barca]
Il contesto della colletta: un gesto di comunione
Paolo, nel suo ministero apostolico, si impegna a mantenere viva la memoria dei poveri. Dopo il suo incontro con il Risorto sulla via di Damasco, e il successivo incontro con gli Apostoli a Gerusalemme, egli accoglie una raccomandazione importante: non dimenticare i poveri. Questo impegno si concretizza nella proposta di raccogliere una colletta a favore della Chiesa Madre di Gerusalemme, una comunità profondamente segnata dalla povertà a causa di carestie e persecuzioni.
Nonostante le piccole dimensioni delle comunità a cui Paolo si rivolge – spesso formate da pagani convertiti o da gruppi misti di giudei e pagani – emerge un segno di straordinaria comunione: queste comunità si uniscono per sostenere concretamente la Chiesa Madre. È un gesto che non si limita all’aiuto materiale, ma simboleggia una profonda unità spirituale e comunitaria.
Prima sottolineatura: la generosità che nasce dalla gioia e dalla povertà
Paolo, scrivendo ai Corinzi, porta l’esempio della Chiesa di Macedonia:
“Nella grande prova della tribolazione la loro gioia sovrabbondante e la loro estrema povertà hanno sovrabbondato nella ricchezza della loro generosità.”
La Chiesa di Macedonia, pur provata da gravi tribolazioni e caratterizzata da estrema povertà, esprime una generosità straordinaria. Questo non è frutto di abbondanza materiale, ma di due elementi fondamentali:
- La gioia sovrabbondante: la gioia che nasce dall’annuncio del Vangelo ricevuto.
- La povertà estrema: una condizione che diventa paradossalmente sorgente di generosità.
Questa combinazione sembra quasi impossibile da comprendere con una logica umana. Come può una comunità povera donare con così tanta larghezza? La risposta risiede nell’entusiasmo e nella gratitudine per il dono della fede.
Nel nostro servizio quotidiano – che sia un centro d’ascolto, l’assistenza agli anziani o la distribuzione di beni di prima necessità – possiamo chiederci: attingiamo alla gioia e alla nostra stessa povertà per donare?. Il nostro operato non dovrebbe mai essere soltanto un’azione, ma l’espressione di una spiritualità profonda.
Seconda sottolineatura: l’offerta di sé
Paolo sottolinea un altro aspetto della generosità macedone:
“Superando le nostre stesse attese, si sono offerti prima di tutto al Signore e poi a noi, secondo la volontà di Dio.”
Questo “offrirsi” non riguarda solo i beni materiali, ma il dono di sé stessi. La generosità non è semplicemente dare qualcosa, ma è una disposizione interiore, un atto di restituzione a Dio.
Nel nostro impegno parrocchiale, ci possiamo chiedere:
- A chi stiamo offrendo il nostro servizio? È un atto verso il parroco o verso il Signore?
- Siamo consapevoli che stiamo restituendo quanto abbiamo ricevuto da Dio?
Queste domande ci aiutano a riconsiderare la nostra motivazione profonda e a riorientare il nostro operato.
Il gesto della colletta non è solo un aiuto materiale, ma un simbolo di unità e solidarietà tra le Chiese. La Chiesa di Gerusalemme, pur distante geograficamente e culturalmente, è percepita come una Chiesa sorella, parte di un’unica comunità. Questo è un punto di riflessione importante: quanto il nostro operato testimonia questa comunione concreta?
Terza sottolineatura: l’esempio di Cristo: da ricco a povero per Arricchire l’Umanità
Uno dei punti centrali della riflessione riguarda il versetto che celebra l’incarnazione della grazia divina: “Gesù Cristo, da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà” (2 Corinzi 8:9). Questo passo invita a considerare l’immensità del dono di Dio, sottolineando come Cristo, pur essendo di natura divina, si sia spogliato per condividere con l’umanità la sua ricchezza spirituale. Il gesto di Cristo non è solo un atto di privazione, ma anche di arricchimento per chi riceve.
Questa dinamica si riflette nelle relazioni quotidiane: donarsi per gli altri – che sia in famiglia, con amici o nella comunità – rappresenta un modo per rendere ricche le vite altrui. Donare significa spogliarsi non solo di beni materiali, ma anche di tempo, energie e amore. Questo gesto non impoverisce chi lo compie, bensì arricchisce entrambe le parti, creando una comunione profonda.
Proseguendo, il testo evidenzia una verità essenziale: “Chi semina scarsamente, scarsamente raccoglierà; chi semina con larghezza, con larghezza raccoglierà” (2 Corinzi 9:6). Questo principio universale della semina e del raccolto si applica anche alla generosità e alla vita spirituale. Il dono deve essere fatto non con costrizione o tristezza, ma con gioia e libertà, rispettando quanto ciascuno ha deciso nel proprio cuore.
L’atto del donare, infatti, non deve essere una semplice obbligazione morale o un gesto forzato. Al contrario, è un’opportunità per manifestare la gratitudine per i doni ricevuti da Dio. “Dio ama chi dona con gioia” è un invito a coltivare uno spirito di libertà e spontaneità nel dono.
Quarta sottolineatura: Dio fonte di ogni dono
Un altro punto cardine è la consapevolezza che tutto ciò che possiamo donare proviene da Dio. Come viene ricordato: “Colui che dà il seme al seminatore, il pane per il nutrimento, darà e moltiplicherà anche la vostra semente e farà crescere i frutti della vostra giustizia” (2 Corinzi 9:10). La generosità, quindi, non è frutto esclusivo delle nostre capacità o delle nostre risorse personali, ma è una partecipazione ai doni ricevuti.
Questa consapevolezza è cruciale anche nel servizio alla comunità. Che si tratti di distribuire cibo, sostenere famiglie o donare tempo e ascolto, tutto ciò che offriamo è prima un dono ricevuto. Questo circolo virtuoso di ricevere e donare riflette la logica del Vangelo: Dio ci riempie per permetterci di riversare sugli altri ciò che abbiamo ricevuto.
Quinta sottolineatura: la generosità genera ringraziamento (eucarestia)
L’atto del donare ha un effetto moltiplicatore: suscita gratitudine non solo verso il donatore, ma soprattutto verso Dio. Come sottolinea il testo: “Così sarete ricchi per ogni generosità, la quale farà salire a Dio l’inno di ringraziamento per mezzo vostro” (2 Corinzi 9:11). Il ringraziamento che emerge dalla generosità non è un semplice riconoscimento personale, ma diventa un’invocazione collettiva verso Dio, una lode che eleva la comunità.
Questa dinamica si intreccia profondamente con la dimensione dell’Eucaristia, che significa proprio “ringraziamento”. Ogni gesto di generosità, quindi, non solo risponde ai bisogni materiali, ma diventa anche un segno visibile del Vangelo, un atto che trasforma e unisce.
Infine, la riflessione si sofferma su come i poveri, destinatari della generosità, vedano in essa una manifestazione concreta del Vangelo. Non è solo l’annuncio verbale che testimonia la fede, ma il gesto stesso del donare nella libertà, nella gioia e nella povertà interiore. Questo stile di vita genera comunione, preghiera e amore reciproco, trasformando ogni atto di generosità in una proclamazione vivente del Vangelo.
Questa riflessione ci invita a interrogarci: Ci sentiamo ricchi dei doni di Dio? Siamo pronti a condividerli con larghezza e libertà? Solo riconoscendo la grazia ricevuta possiamo entrare pienamente in questo circolo di dono e ringraziamento, vivendo la generosità come un’espressione tangibile del nostro rapporto con Dio e con gli altri.
Una conclusione aperta: la missione continua
Il messaggio finale di questo percorso ci invita a vedere la povertà non solo come mancanza materiale, ma come una condizione che ci unisce tutti nella nostra dipendenza da Dio e dagli altri. Come Paolo richiama i Corinzi, così siamo chiamati a guardare agli esempi di generosità attorno a noi e a farne una fonte di ispirazione.
La generosità non è mai fine a sé stessa: è una risposta alla grazia ricevuta, una testimonianza visibile del Vangelo e un atto che moltiplica la gioia e il ringraziamento. Ogni gesto di dono, grande o piccolo, ci inserisce in un ciclo di reciprocità e gratitudine che supera i confini personali e tocca le comunità.
In questo contesto, il Giubileo e la Giornata dei Poveri non sono solo eventi, ma opportunità per rinnovare il nostro impegno verso una Chiesa povera per i poveri, una comunità che riflette l’amore di Cristo attraverso la solidarietà e il servizio.
La sfida che ci viene lasciata è chiara: vivere ogni giorno come un’opportunità per seminare larghezza, generosità e amore, attingendo dalla grazia che Dio ci ha donato. Siamo chiamati a essere strumenti di condivisione e comunione, ricordando sempre che ciò che doniamo non è esclusivamente nostro, ma proviene dal dono ineffabile di Dio.
Grazie a Dio per questo dono ineffabile! È con questa lode che si chiude il cerchio: un ringraziamento che non è solo parola, ma un’intera vita dedicata alla testimonianza del Vangelo attraverso il dono, la preghiera e la comunione con gli altri.
La povertà: una chiamata alla dignità e alla speranza
Il tema della povertà è centrale nel messaggio del Papa per la Giornata Mondiale dei Poveri, così come nella bolla di indizione del Giubileo. Sebbene i testi papali siano articolati, è la loro rilettura e applicazione pratica, come quella proposta da Monsignor Fisichella, che ci offre una chiave per riflettere su aspetti fondamentali. Questo articolo esplora il significato profondo dello stare “con” i poveri, valorizzandone la dignità e la spiritualità, e le implicazioni pratiche per la comunità cristiana.
Non per i poveri, ma con i poveri
I poveri non sono solo destinatari di aiuto materiale. Essi spesso pregano più intensamente di molti credenti e ci mostrano un rapporto intimo con Dio, indipendentemente dalla loro religione. Che siano cattolici, musulmani o ortodossi, tutti testimoniano una spiritualità autentica, che va riconosciuta e valorizzata. Come sottolineato, guardare negli occhi i poveri durante un pasto rappresenta un gesto di dignità e reciprocità, ben diverso dal semplice atto di consegnare loro cibo.
Il Ruolo della Caritas: Dignità oltre l’Assistenza
La Caritas svolge un ruolo cruciale non solo nel fornire aiuti concreti come alimenti, alloggi e supporto educativo, ma nel promuovere la dignità umana. Non si tratta di sostituirsi ai poveri risolvendo loro i problemi, bensì di aiutarli a sviluppare le capacità per affrontare le loro sfide. Questo approccio educativo si riflette anche nell’aiuto compiti: il fine non è dare risposte immediate, ma stimolare la comprensione e la crescita.
Riconoscere le Cause della Povertà
Un’azione davvero efficace richiede di andare oltre l’assistenza diretta, comprendendo e affrontando le cause strutturali della povertà. In quest’ottica, educare la comunità a riflettere sulle origini delle disuguaglianze diventa fondamentale. Solo così è possibile creare percorsi di elevazione della dignità umana per tutti.
Il Giubileo dei Poveri: Una Speranza Condivisa
La Giornata del Povero del 2025 rappresenta un’opportunità per coinvolgere i poveri nel cammino di fede e speranza del Giubileo. Questo non è solo un gesto simbolico, ma un impegno concreto per rendere tutti partecipi della missione cristiana di amore e solidarietà. Evangelizzare non significa solo portare il Vangelo ai poveri, ma anche educare i cristiani a vivere il messaggio evangelico dell’amore per gli ultimi.
Il Perdono come Tema del Giubileo
Il Papa ha scelto il perdono come tema centrale del Giubileo, perché esso anima la speranza. I poveri sono testimoni viventi di speranza: il loro desiderio di migliorare la propria condizione è una testimonianza di fede nella possibilità di un futuro migliore. Anche i migranti, con il loro coraggio, incarnano questa speranza e ci invitano a riconoscere la dignità umana come forza motrice della nostra azione.
Solidarietà e Impegno Comunitario
La solidarietà non si limita a condividere risorse, ma implica anche un coinvolgimento reciproco. Esperienze come quelle in Ecuador, dove le comunità più povere raccolgono fondi per sostenere la carità del Papa, ci mostrano che la vera solidarietà nasce dal riconoscimento della comune umanità.
Una Chiamata all’Azione
La Chiesa ci invita a identificare e affrontare le diverse forme di povertà: dalla mancanza di casa e salute, fino alla carenza di cultura e istruzione. Il compito della comunità cristiana è mettersi al servizio dei poveri, promuovendo la loro valorizzazione e crescita.
Conclusione: domande per Riflettere
Per guidare il nostro impegno, è utile porsi alcune domande fondamentali, a cui proviamo a rispondere in piccoli gruppi (da tre, massimo quattro persone):
- Da dove proviene ciò che offriamo nel nostro servizio?
- Come possiamo essere “seminatori di speranza” nei nostri gesti quotidiani?
- In che modo possiamo pregare insieme ai poveri, riconoscendo il valore della loro preghiera?